Allattamento al seno: la mia esperienza

FONTE IMMAGINE: http://www.terzobinario.it/wp-content/uploads/2015/08/Foto-UNICEF-di-Pirozzi.jpg
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E rieccomi dopo una lunga assenza durata 3 mesi per tornare a scrivere ancora su questo blog, ma non senza apportare quel cambiamento che inevitabilmente mi sento addosso. In uno spazio in cui si parla di cibo e alimentazione – mi sono detta – non si può non parlare di ciò che ne é la quintessenza, nonché alle origini di ciò che l’uomo dapprima conosce per nutrirsi: il latte materno.

Da qualche mese sono diventata mamma e l’esperienza dell’allattamento al seno é forse quella che mi ha segnato maggiormente e alla quale probabilmente non ero poi così pronta.

I mesi della gravidanza sono trascorsi pensando a quell’unico momento a cui ritenevo di dovermi preparare: il parto. Mi sembrava impossibile anche solo immaginare cosa sarebbe successo dopo.

Ma il parto, per quanto indescrivibilmente emozionante, è comunque un evento circoscritto. È quando si ha tra le braccia il proprio cucciolo indifeso e bisognoso di cure e di amore che ci si mette alla prova come genitore.

Io e mio marito abbiamo sin da subito condiviso le responsabilità e ci siamo occupati in egual misura di provvedere alle prime cure. Ma l’allattamento al seno è inevitabilmente il sigillo che determina quel binomio unico e speciale tra la mamma e il suo bambino.

Prima del parto avevo visto un video, promosso dall’Unicef, in cui una donna, appartenente ad una tribù che oggi definiremo “primitiva”, aveva lasciato che  il proprio bambino, appena partorito, risalisse spingendosi con le ginocchia dal grembo all’altezza dei capezzoli, e che, sentendo l’odore del latte, si attaccasse spontaneamente al seno per la prima poppata.

È quello che oggi viene definito breast crawl e che viene incoraggiato dagli ospedali più illuminati per agevolare l’avvio dell’allattamento al seno.

E così, come promesso, anche nell’ospedale in cui ho scelto di partorire, il Buzzi di Milano, ho trascorso le due ore successive al parto solo con mio marito e il mio bambino sulla pancia, appena nato e ancora sporco di vernice caseosa che, sotto gli occhi stupefatti di entrambi, si è attaccato spontaneamente al seno come la più naturale e primordiale delle esperienze.

Tutto sembrava promettere per il meglio: il piccolo continuava a poppare regolarmente anche durante i giorni della degenza e io, diligentemente, avevo assecondato ogni sua richiesta giorno e notte, favorita anche dal rooming in, secondo l’uso dell’ospedale.

Al momento delle dimissioni Il bimbo aveva riportato il calo cosiddetto “fisiologico” (10% del peso della nascita) e quindi siamo tornati a casa serenamente pronti per cominciare la nostra nuova vita a tre.

Ma le prime settimane a casa sono state tutt’altro che semplici: unitamente ai postumi del parto, si sono presentate le tanto temute ragadi al seno. Ma come? Proprio a me? Infermiere e ostetriche in ospedale elogiavano un’attaccatura perfetta del bambino al capezzolo e allora come mai?

Il dolore e la stanchezza non mi hanno tuttavia impedito di continuare ad allattare mio figlio. Mi sentivo determinata a non mollare. Mi ero sentita ripetere di quanto l’allattamento al seno fosse fondamentale per la salute dei bambini e per costruire quel legame indissolubile tra madre e figlio. No, non potevo assolutamente rinunciarci. 

Ma i bambini, si sa, hanno il sesto senso, e probabilmente il mio stato di debolezza ha coinciso con una battuta d’arresto nella sua curva di crescita.

Alle prime visite pediatriche però infatti arrivare la delusione nel sentir pronunciare le parole tanto temute: aggiunta di latte artificiale.

Eh si perché quello che per le nostre madri, negli anni 80, era uno status sociale di benessere, garanzia di igiene e mezzo per riappropriarsi subito dopo il parto della propria indipendenza, per noi donne di questa generazione, ricorrere al latte di formula è vissuta come una sconfitta. Ci viene ripetuto costantemente che l’allattamento al seno è una missione, che è la cosa più naturale e spontanea del mondo… 

A me sembrava tutt’altro che così. Naturale, certamente, ma per nulla semplice e immediata. Almeno nel mio caso.

Ho avuto la fortuna di incontrare, su suggerimento della mia adorata pediatra, una consulente per l’allattamento del consultorio che con dedizione e professionalità, e gratuitamente – essendo un servizio offerto dal comune – mi ha aiutato a rimettere in moto il processo e ad abbandonare nel giro di qualche settimana l’aggiunta di latte artificiale per tornare ad un allattamento al seno esclusivo.

Non posso negare di aver fatto dei sacrifici per raggiungere questo scopo: allattamento a richiesta, anche se questo significava avere il bambino attaccato al seno anche ogni ora; utilizzo del tiralatte (questo è il modello che ho usato) per stimolare il più possibile la ghiandola mammaria; impegno nel mangiare adeguatamente per garantire la produzione di latte, anche se per la stanchezza avrei trangugiato al volo solo una busta di affettati e qualche creaker.

Ecco secondo la mia esperienza, ma anche da un confronto con altre mamme, posso dire che non é un’impresa semplice, soprattutto se si verificano delle difficoltà come nel mio caso. Ma con determinazione, impegno, forza di volontà, ma soprattutto con il sostegno e l’aiuto delle persone che ci stanno vicino, è possibile.

Ma mi preme sottolineare che, qualora per necessità o per scelta, ci si dovesse trovare a ricorrere al latte artificiale, questo non vuol dire essere delle mamme di serie b, meno premurose e attente rispetto a quelle che nutrono il proprio bambino al seno.

Proprio perché l’allattamento é un’esperienza molto forte e impegnativa sotto il profilo fisico e psicologico, la donna deve sentirsi libera di scegliere e in ogni caso essere adeguatamente supportata.

Spero che leggendo la mia storia qualcuno possa trovare un incoraggiamento o quantomeno uno spunto di riflessione per vivere consapevolmente e serenamente quell’esperienza unica che è essere mamma.